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“Qualsiasi cosa facciamo per gli altri ha risvolti e svela significati per noi stessi”. A cura di 78edizioni
La responsabilità è la stella polare che orienta le mie scelte. Ogni mia esperienza, ricercata e vissuta, è stata caratterizzata dal viverla con responsabilità e questo è ciò che più mi ha avvicinato alle soddisfazioni dell’autorealizzazione. Queste soddisfazioni, oggi, sono rappresentate soprattutto dalla mia passione per il Coaching, metodo che mi ha permesso di esplorare e dare nuovi significati alla parola respons-abilità. Per questi motivi il concetto di responsabilità è mutato nel tempo, fino a divenire un atteggiamento che si declina nel presente, attraverso una serie di azioni coerenti ai valori personali e alle proprie capacità di scegliere. Poter scegliere, in base a ciò che per noi vale, e perseguire gli obiettivi così creati sono, per me, la massima forma di responsabilità personale.
Sono figlio di un poliziotto e fin da piccolo mi divertivo a giocare con i modellini delle moto della Stradale. Mio padre parlava continuamente di ideali e giustizia e del fatto che un’ottima prevenzione servisse a far diminuire la repressione delle condotte illecite. È stato uno dei carbonari del primo sindacato, a favore della smilitarizzazione e delle donne in Polizia. Sono cresciuto in questo ambiente ed è stato naturale il passaggio. Il servizio in Polizia è inspiegabile a chi non lo vive operativamente ed è molto più di una missione vocazionale, soprattutto quando percepisci il peso della responsabilità. A me piaceva sentirlo questo peso: per me è vitale sentire la Responsabilità. Ma, a un certo punto ha rischiato di soffocarmi e per salvarmi ho dovuto compiere una scelta forte e decisa, trasferendomi con moglie e figlie in Salento, dove mio padre era nato, a mille chilometri da dove io sono nato. Rallentare i ritmi mi ha permesso di guardarmi dentro e attorno, con nuovi occhi, e a capire che la “pesantezza” che provavo era dovuta al confronto con quanto fatto da mio padre. Ma intanto ciò che ci circondava, l’ambiente, la società stessa, tutto era cambiato e in continuo movimento, ma io e mio padre non ne avevamo tenuto conto a sufficienza. È responsabilità personale comprendere il moto perpetuo della storia e di ciò che ci circonda e di quanto questo possa incidere sulle nostre vite. Nuove consapevolezze, quindi, nuove responsabilità! Ho abbracciato il cambiamento partendo da me stesso. Ho scoperto il coaching e l’ho indossato sotto la divisa. Ho creato e progettato un corso di Peer education per prevenire gli incidenti stradali, rivolto a studenti del quarto anno di secondarie di secondo grado. In quattro corsi, ho formato 60 peer educator e con loro abbiamo incontrato, in 30 conferenze, circa 4000 studenti di istituti della provincia di Lecce e Brindisi. Era mia responsabilità condividere le esperienze professionali in un percorso di sensibilizzazione e promozione di una cultura della sicurezza stradale, formando i giovani studenti ad, un ruolo guida tra pari; il coaching ha rappresentato un metodo potente di consapevolizzazione e responsabilizzazione, innalzando la percezione del senso di autoefficacia nei partecipanti al corso, permettendo loro, inoltre, di acquisire competenze e abilità psicosociali di non facile sviluppo come, ad esempio, il parlare in pubblico.
C’è stato un preciso momento che ricordo benissimo. Al termine dei rilievi di un incidente in cui un giovanissimo ragazzo aveva perso la vita in bicicletta, sono passato momentaneamente per casa; ero particolarmente scosso da quell’evento. Ricordo che appena aperta la porta, mentre stavo per togliermi gli stivali, il mio sguardo è andato dalla punta dei “centauri” ai giochi di mia figlia, sparsi sul pavimento. Ricordo un brivido lungo la schiena e una presa di coscienza, una forma di volontà: dovevo fare altro, dare di più! Ecco cosa chiede la responsabilità: dare, donare, creare per l’altro. In quel preciso istante è nato il progetto Promotore della Cultura della Sicurezza Stradale. A oggi, penso sia più ciò che ho ricevuto ed imparato, rispetto alla fatica di quanto fatto.
Il maggior insegnamento è stato quello di vivere (e comprendere) l’apprendimento attraverso l’esperienza; una sorta di procedimento euristico che si snoda e apre nuove vie man mano che percorriamo una strada. Vivere questa Complessità, mi ha portato a verificare l’effetto retroattivo delle azioni: nella realtà dei fatti, qualsiasi cosa facciamo per gli altri ha risvolti e svela significati per noi stessi; la sfida consta nell’imparare a discernere, e scegliere, cosa fare per se stessi, consapevoli che ogni decisione personale avrà sempre a che fare con qualcun altro. Tutto ciò è valoriale e dona stabilità di pensiero.
Lavorare con ragazzi di 17/18 anni è una finestra spalancata sull’adolescenza, periodo di costante evoluzione, non sempre positiva, se non accompagnata da sviluppo di capacità autoregolatorie. L’approccio maieutico del coaching ha favorito nei ragazzi la facoltà di dirigere la propria attenzione su obiettivi in linea con i propri valori, con l’effetto di limitare gli sbalzi emotivi (e la conseguente esposizione ai fattori di rischio tipici dell’età) permettendo l’espressione delle potenzialità personali. Caso emblematico è stato quello di un ragazzo del primo corso che, nonostante vivesse un periodo di grave crisi ed apparisse in chiare difficoltà personali, ha partecipato con perseveranza a tutti gli incontri formativi, affrontando con determinazione la conferenza con i pari nell’aula magna dell’istituto di provenienza. L’anno seguente, alla conferenza tenuta nello stesso istituto dai peer educator del corso successivo, ho vissuto il momento di più alta soddisfazione quando, al termine dell’incontro, lo stesso ragazzo, presente a mia insaputa tra le ultime file, si è alzato ed è venuto al microfono ad affermare che grazie al percorso fatto insieme l’anno precedente, era riuscito a vincere la sua battaglia personale; nei successivi anni, è stato lui ad aprire e presentare il corso ai nuovi partecipanti, nonostante i suoi impegni universitari: miglior testimone non avrei potuto avere.
È normale pensare che lavorare con i ragazzi significhi lavorare sulla società del futuro. Come coach umanistico, levare e valorizzare le potenzialità autentiche dei ragazzi è l’aspetto che più mi affascina e incuriosisce. È un viaggio in una terra tutta da scoprire e non ancora usurata dalle convinzioni e il distacco degli adulti. Esplorare i loro punti di forza, allenarli al potenziale positivo e svilupparlo in uno specifico e personale valore-guida, ha il sapore virtuoso e contagioso dell’entusiasmo. L’aver, poi, constatato che questa energia alimenta la passione, ci proietta nel principale bisogno della società attuale, sempre più veloce e ricca di conoscenza, competenze e tecnologie, ma purtroppo carente di passione e umanità. Questa necessità ci vincola al presente e ha valore e risvolti etici e, quindi, di responsabilità sociale. Vedere i ragazzi, al termine del corso, continuare a riversare il loro impegno nel partecipare “volontariamente” a manifestazioni di sensibilizzazione nelle piazze o a collaborare nella formazione in aula dei nuovi partecipanti, mi ha convinto di quanto prima affermato.
Negli anni la mia continua ricerca del cambiamento ha allargato spazi per nuove consapevolezze e ogni consapevolezza prospetta nuove responsabilità. Da ragazzo la responsabilità rappresentava i limiti imposti dalle regole degli adulti o la si provava associandola ai sensi di colpa; iniziato il percorso in Polizia, i confini della responsabilità hanno coinciso con il senso del dovere. Crescendo ho scoperto la responsabilità familiare e quella genitoriale, la responsabilità dell’educatore e quella sociale. Ogni passaggio mi ha restituito nuovi punti di vista, allargando le possibilità di pensiero e le mie capacità di interpretazione e adattamento a un mondo che è, come già detto, in costante e veloce evoluzione. Oggi la responsabilità è il dialogo interiore con la mia coscienza, alleggerito dei timori e paure che tutti normalmente viviamo. Questo dialogo mi ha donato equilibrio e stabilità, restituendomi quella serenità che recentemente, per problemi di salute, avevo perso.
In qualsiasi attività positiva ci s’impegni, più riusciamo a percepire la responsabilità nelle nostre azioni, più aumenta quel senso di soddisfazione e coinvolgimento che chiamo divertimento; ed il divertimento è ciò che più ci allena alla Felicità. Per cos’altro vivere?
AiFOS - Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro
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