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Un atteggiamento che molti assumono per paura del fallimento: poiché è difficile accettare di non essere stati abbastanza bravi nonostante il massimo dell’impegno
Il termine inglese non suona bene: self-handicapping, che potremmo efficacemente tradurre con l'italiano autosabotaggio, indica un atteggiamento che molti individui assumono in determinate situazioni di particolare stress.
Con tale parola si definisce la messa in atto di comportamenti di fatto autodistruttivi, che ci rovinano la vita non solamente nell’ambito personale, ma - ed è l’aspetto che maggiormente ci interessa - nel lavoro. Di fatto è un modo per “ostacolarsi da soli”: di esempi concreti se ne possono fare tanti: dalle giustificazioni che adduciamo come alibi, ai comportamenti associati che mettiamo in atto per giustificare un fallimento, cercando di salvare il nostro Io dalla vergogna o dall'umiliazione di aver mancato il risultato. «Ecco, succedono sempre tutte a me», «Mi va sempre tutto storto», «Non è colpa mia se». In realtà, dietro a queste frasi genericamente autoassolventi, troviamo comportamenti precisamente autolesivi. Gli studiosi del fenomeno distinguono in effetti due forme, spesso confluenti: il primo è il raccontarsi l'autosabotaggio (claimed self-handicapping, CSH), circostanza in cui un soggetto parla di condizioni che bloccano le proprie performance per farsene un alibi, un'autogiustificazione; il seconfo consiste nel mettere in atto comportamenti autosabotanti (behavioral self-handicapping, BSH).
Ma l’aspetto più rilevante è rappresentato dal fatto che molti studiosi ritengono che la stessa facilità a distrarsi, spesso figlia degenere del fare molte cose contemporaneamente - come la nostra società multitasking richiede - sia una causa potente di autolesionismo.
Di questi atteggiamenti e di molto altro si occupa il libro “Il self- handicapping: strategie di presentazione del sé” pubblicato da Armando Editore e scritto dalle psicologhe Carla Mazzoleni e Fabienne Lauber Pedroni.
Il libro è il primo testo in italiano che analizza gli aspetti di tale comportamento. Certo, non tutti applicano il self-handicapping, ma se ci si identifica in questo tipo di atteggiamento vengono proposte anche alcune soluzioni per uscirne: prima di tutto, l’essere sinceri con se stessi e imparare ad accettare la responsabilità dei propri sbagli. Poi, da un punto di vista pratico, il gratificarsi (attraverso una ricompensa o un auto-regalo) per i successi e, soprattutto, crearsi un metodo, una sorta di routine con orari prestabiliti per ogni attività, in modo tale da ridurre le possibili scusanti per procrastinare gli impegni.
“Con l’intento di proteggere un concetto di sé e delle proprie competenze fragile e ambiguo, i self-handicappers si mettono in situazioni che inibiscono (o sembrano inibire) le prestazioni di successo – si evidenzia nella prefazione. Così facendo, essi mirano a aumentare le opportunità di giustificare il fallimento e di evidenziare la responsabilità per il successo. Il paradosso insito in tale strategia di presentazione di sé consiste nel fatto che, in alcuni casi, la scelta di eseguire la prestazione in presenza di ostacoli rende il fallimento più probabile. Pertanto, sebbene a breve termine il self-handicapping possa essere funzionale al mantenimento di un immagine positiva (nei propri occhi e in quelli altrui) circa le proprie abilità e competenze, nel lungo periodo il suo impiego può avere effetti controproducenti e comportare importanti costi a livello personale e interpersonale”.
Pur specificando che il libro di Mazzoleni e Lauber Pedroni non focalizza in modo specifico l’ambito lavorativo, esso consente di inquadrare la problematica. E lo fa suggerendo una serie di indicazioni utili anche per arricchire anche il lavoro di chi fa formazione che non solo può tener conto della tematica, ma può anche preparare lezioni mirate anche a porre in evidenza tali atteggiamenti e darne rilievo in aula.
Perché nel testo quel che si propone è anche una sorta di “rieducazione” al fare le cose, anche una sola alla volta, ma bene, tenendo presente che metodo e disciplina sono fondamentali per l’ottenimento di un risultato, in ogni ambito di vita. Senza dimenticarci l’importanza di saper assumere le proprie responsabilità e comprendere le ragioni degli errori commessi. E, visto in tale prospettiva, è qualcosa che ben si collega al porre attenzione anche alle tematiche di tutela della salute e sicurezza.
Carla Mazzoleni
Psicologa e psicoterapeuta ad impostazione sistemico relazionale, insegna Psicologia delle Relazioni Interpersonali presso l’Università Cattolica.
Fabienne Lauber Pedroni
Psicologa, ha conseguito una specializzazione in psicologia dello sport presso l’Università di Torino. Attualmente si occupa di convinzione di autoefficacia in contesti educativi e sportivi.
Per ulteriori informazioni: http://armando.it/self-handicapping
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